Sganci emergenza dell’energia elettrica: sicurezza e continuità di servizio

comando di emergenza Il pulsante di sgancio, comando di emergenza per eliminare pericoli relativi all’impianto elettrico utilizzatore, necessita di essere posizionato dopo un’accurata pianificazione per evitare che azionamenti “intempestivi” possano interrompere la continuità di servizio.

In condizioni di emergenza, la tensione elettrica lungo i cir­cuiti dell’impianto utilizzato­re può costituire un pericolo di folgorazione per gli operato­ri chiamati a gestirla, siano essi delle squadre di intervento in­terne all’attività produttiva o dei Vigili del Fuoco. Però, in deter­minati contesti installativi, vi so­no utenze elettriche che devono necessariamente funzionare du­rante un’emergenza in quanto di­rettamente collegate alle strate­gie di contrasto. Quindi, mettere in sicurezza l’impianto elettrico utilizzatore non significa porre fuori tensione l’intero impianto, ma significa disalimentare solo quanto non necessario per gesti­re un’emergenza: questo è pro­prio il compito del comando di e­mergenza.

Comando di emergenza, indicazioni normative

La Norma CEI 64-8, parte 2, pa­ragrafo 28, punto 28.3 definisce “Interruzione di emergenza” l’o­perazione destinata a interrom­pere l’alimentazione di energia elettrica a tutto l’impianto, o a u­na sua parte, quando si presenta un rischio di shock elettrico o un altro rischio di origine elettrica.

Il paragrafo 464 della parte 4 della stessa Norma è invece de­dicato al “Comando di emergen­za”. In particolare, il punto 464.1 sancisce l’obbligo di prevedere dispositivi per il comando di e­mergenza, laddove sia necessario­ agire sull’alimentazione per eliminare pericoli imprevisti.

Il punto 464.2 specifica che tale comando, quando esista il rischio di folgorazione, deve interrom­pere tutti i conduttori attivi con le eccezioni di cui al punto 461.2. I punti 464.3 e 464.4, invece, for­niscono indicazioni sulle caratte­ristiche del comando di emer­genza e sulla sua sistemazione: il comando deve agire il più diret­tamente possibile sui condutto­ri di alimentazione in modo tale che l’interruzione avvenga con un’unica azione. Inoltre, deve es­sere sistemato in modo tale che il suo funzionamento non provochi altri pericoli e non provochi inter­ferenze nella procedura comple­ta necessaria ad eliminare il pe­ricolo.

Ma queste indicazioni normative, come si riflettono concretamente sulle caratteristiche del comando di emergenza? 

Innanzitutto, l’idea di identifi­carlo con l’interruttore genera­le dell’impianto utilizzatore può funzionare solo in casi sempli­ci in cui la messa fuori tensione dell’intero impianto non privi di alimentazione i servizi di sicurez­za, cioè quei sistemi che devono funzionare durante l’emergenza per permettere di raggiungere u­na condizione di sicurezza. Nei casi più complessi, quindi, lo sgancio dell’alimentazione deve agire solo e soltanto su quelle utenze che non hanno ruoli atti­vi per la gestione della fase di e­mergenza.

È evidente come l’operatore, in queste situazioni, deve avere la facoltà di disalimentare anche uno o più servizi di sicurezza se pensa che questi possano espor­lo a rischio folgorazione: ciò deve avvenire, logicamente, mediante un comando di emergenza dedi­cato.

L’ubicazione del comando di e­mergenza deve essere scelta per far sì che si possa garantire la fa­cile rintracciabilità, l’identificabi­lità, e l’azionabilità in sicurezza. Visto che il pulsante può essere manovrato anche da personale esterno all’attività lavorativa o residenziale, come ad esempio i Vigili del Fuoco, è buona pras­si posizionarlo in prossimità de­gli ingressi o, meglio ancora, al di fuori dei locali: quest’ultima soluzione va valutata con atten­zione perché l’azione indesidera­ta sullo sgancio può causare una pesante interruzione di energia. Nel caso di insediamenti produt­tivi/residenziali dotati di più in­gressi, i comandi di emergenza vanno replicati in corrisponden­za di ognuno di essi.

Queste indicazioni vanno di volta in volta interpretate e applicate in base ai differenti contesti e si devono integrare con le prescri­zioni dettate dalle Norme parti­colari.

I requisiti che deve possedere il comando di emergenza

comando di emergenza
PULSANTE di sgancio a rottura di vetro

Prima di tutto deve essere faci­le e rapido da azionare. L’effetto della messa fuori tensione può essere raggiunto, ad esempio, a­prendo tutti i circuiti di un qua­dro elettrico o aprendo il relativo interruttore generale (processo nettamente più lungo nel primo caso). Solo un operatore che co­nosce perfettamente l’impianto e le condizioni di emergenza è in grado di decidere quali circu­iti aprire e quali no. Un operatore meno qualificato sarebbe total­mente in difficoltà sulle scelte da compiere che sarebbero quindi affidate al caso.

Ciò non significa che il comando di emergenza deve essere unico: la presenza di più compartimenti antincendio, ad esempio le auto­rimesse e la centrale termica di un edificio multipiano per civili a­bitazioni, potrebbero essere do­tati ciascuno del proprio coman­do di emergenza: in questo caso sarebbe un onere degli operatori di emergenza decidere se disali­mentarne solo uno o entrambi.

Affidabilità e rapidità

Il comando di emergenze deve essere affidabile, deve cioè fun­zionare quando è chiamato a far­lo: ciò avviene molto raramente e, proprio per questo, il disposi­tivo deve avere caratteristiche intrinseche di affidabilità e resi­lienza, oltre che essere sottopo­sto ad accurata e ciclica manu­tenzione preventiva.

Il comando di emergenza deve anche agire il più rapidamente possibile sul circuito di potenza a cui è associato: ciò può avvenire in maniera diretta – si pensi al pul­sante di emergenza a fungo che, tramite la traslazione solida dello stelo, provvede ad aprire mecca­nicamente i contatti di potenza – o in maniera indiretta, cioè tra­mite un circuito di comando. In questo caso, il comando di emer­genza è un sistema costituito da tre componenti collegati in serie: il circuito di comando, l’aziona­mento e l’interruttore di potenza.

L’affidabilità del sistema com­plessivo si esprime quindi dal prodotto delle affidabilità dei sin­goli componenti. Tra i tre componenti quello più affidabile è l’interruttore; segue l’azionamento e chiude la classi­fica dell’affidabilità il circuito di comando: la più diffusa criticità di quest’ultimo è l’interruzione del circuito, che può avere con­seguenze diverse a seconda del­la logica di apertura.

Interruzione del circuito di comando

Se è implementata una logica a minima tensione, l’interruzione del circuito di comando compor­ta – al pari della mancanza di ten­sione o di un abbassamento della stessa – l’apertura intempestiva del circuito che si concretizza in un disservizio anche se le con­dizioni di sicurezza vengono co­munque tutelate. Tale inconve­niente può essere risolto utiliz­zando un elemento soccorritore per alimentare il relè di minima tensione.

Se è implementata una logica a lancio di corrente, l’interruzione del circuito di comando non vie­ne rilevata se non quando si azio­na il dispositivo di emergenza: la Norma CEI 64-8, quindi, al punto 537.4.3 prescrive – qualora non si utilizzino comandi a diseccitazio­ne di bobina – soluzioni alternati­ve a sicurezza equivalente.

Ciò si traduce nella necessità di monitorare con continuità l’inte­grità del circuito di comando per mezzo di segnalazione luminosa (lampada a LED di colore verde) che si spenga in caso di interru­zione del circuito. Ovviamente è necessaria la presenza di perso­nale addetto al controllo visivo della segnalazione luminosa e pronto all’immediato ripristino in caso di guasto.

Ciò normalmente dovrebbe in­durre all’utilizzo dei comandi a lancio di corrente solo per im­pianti sempre presidiati e con una squadra di manutenzione sempre disponibile.

Pulsante di emergenza

L’azionamento del comando di emergenza avviene, nella quasi totalità dei casi, per mezzo di un pulsante denominato pulsante di emergenza, tipicamente quello a fungo rosso su fondo giallo.

Alla luce della richiesta di visibili­tà e facile azionabilità, il pulsante di emergenza si trova quasi sem­pre in posizioni esposte all’azio­ne di tutti, con l’elevata probabili­tà di un suo azionamento intem­pestivo. Un deterrente può essere costi­tuito dalla sua installazione in un involucro con vetro a rottura che, però, non elimina la possibilità di un utilizzo scriteriato.

Non è prescritta l’alimentazione di tipo SELV del circuito di co­mando ma, qualora vi si ricor­resse, non bisognerebbe preoc­cuparsi di lasciare in tensione il circuito di comando in seguito al­lo sgancio poiché il livello di ten­sione è innocuo. Ciò è molto utile quando si realizza un comando di emergenza installato all’inter­no del compartimento da servire.

Ma quando è richiesto il comando di emergenza?

Bisogna ricordare la tendenza normativa europea, ad abbando­nare la natura prescrittiva della Norma a favore di un’applicazio­ne basata sull’analisi del rischio: tale orientamento lo si trova già nel D.Lgs. 81/2008, nelle Norme CEI 81-10.

Anche la prevenzione incendi – con l’emanazione del Codice (D.M. 03/08/2015) – ha accolto la valutazione prestazionale basata sulla quantificazione del rischio per la vita, i beni, l’ambiente. In via generale è possibile af­fermare che il comando di e­mergenza è richiesto in tutte le attività soggette al controllo dei Vigili del fuoco presenti nel DPR n. 151/2011.

Infatti, tra gli obiettivi di sicurez­za antincendio del Codice, vi è quello di «consentire alle squa­dre di soccorso di operare in con­dizioni di sicurezza» e di «essere disattivabili, o altrimenti gestibili, a seguito di incendio».

In aggiunta a ciò, l’impianto elet­trico utilizzatore deve «posse­dere caratteristiche strutturali e possibilità di intervento, indi­viduate nel piano di emergenza, tali da non costituire pericolo du­rante le operazioni di estinzione dell’incendio e di messa in sicu­rezza dell’attività». Queste indicazioni riconducono, quindi, all’installazione del co­mando di emergenza.

Nei tanti casi in cui le attività non siano soggette al controllo dei Vigili del Fuoco la presenza o meno del comando di emer­genza dovrebbe scaturire da u­na ponderata analisi del rischio di incendio: solo nel caso in cui l’analisi giustifichi la presenza, il comando andrebbe progettato e installato.

In caso contrario, la sua presen­za potrebbe esporre l’attività a disservizi legati a un azionamen­to intempestivo del dispositivo o potrebbe non contribuire al­la riduzione ulteriore del rischio ma, al contrario, concorrere a fornire l’immagine dell’attività più pericolosa di quanto essa in realtà sia.

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