Inchiesta - Family Business

Ricambio generazionale: un cantiere in lento avanzamento

Nelle realtà che abbiamo incontrato, il padre-titolare tende ad avere l’ultima parola un po’ su tutto, ma molti ragazzi sono stati lasciati liberi di fare le proprie scelte.

Presenti in tutto il mondo e spesso nell’occhio del ciclone quando si parla di infelice ricambio generazionale, le imprese di famiglia rappresentano un’importante risorsa anche in seno al mercato delle elettroforniture italiane. Dal 2013 a oggi, Watt ha intervistato 22 distributori ascrivibili a questa categoria: prevalentemente di piccola dimensione, ma anche due medi e uno di grandi dimensioni da sempre sotto il controllo della stessa famiglia. Le loro vicende presentano molte analogie e altrettante differenze, in quanto le storie delle persone vi si intrecciano con modalità diverse da un caso all’altro. Le interviste hanno comunque permesso di individuare alcuni temi che danno un’idea di come funziona il family business nel settore.

Lavoro e sentimenti. Parlando di aziende familiari, la prima domanda che spesso sorge riguarda la compatibilità tra affari e ragioni del cuore. Qui il campione è diviso sostanzialmente a metà. Dodici grossisti intervistati affermano che i legami affettivi sul lavoro sono un’insidia, i restanti dieci l’esatto contrario. Poiché la realtà è fatta di ampie scale di grigi, non dai soli bianco o nero, oltre la metà di chi ha risposto “sì”, condivide l’ufficio con i propri parenti senza particolari problemi: dunque, un’opinione più che un’attestazione: soltanto 3 su 22 terrebbero assolutamente separata la dimensione lavorativa da quella personale.

Studiare per diventare grandi. La prospettiva di un passaggio di consegne può influenzare il percorso di studi dei figli del titolare? Qui la tendenza appare piuttosto netta: soltanto 5 su 22 dichiarano che l’azienda di famiglia ha influenzato il percorso di studi degli eredi. In tutti e 5 i casi, si è trattato di scelte condivise: i ragazzi avevano già le idee chiare e desideravano far parte della “ditta”. Nella metà dei casi complessivi, gli studi tecnici o commerciali sono stati compiuti per libera scelta, sapendo che sarebbero tornati utili in ogni caso; non mancano ingegneri e laureati in discipline umanistiche che hanno scelto di arricchire il proprio bagaglio culturale, per lavorare comunque con i propri familiari. Un padre-titolare ha espresso il desiderio che i propri figli facciano esperienza in altre realtà, se possibile all’estero, per poi decidere del proprio futuro.

(cortesia: Lepogi)

Ruoli chiave. Appare scontato che i membri della famiglia del fondatore-titolare siano destinati a ereditare i ruoli-chiave dell’azienda. Volendo approfondire la questione, la realtà si mostra ancora una volta più sfaccettata di come appare. 20 grossisti su 22 si dicono completamente favorevoli alla prospettiva di affidare incarichi di alta responsabilità a persone non familiari. In circa la metà dei casi, questo è già avvenuto: collaboratori storici e di fiducia hanno assunto la responsabilità di una filiale, la direzione commerciale o – in un paio di casi – acquisito quote della stessa società. Tra l’altra metà, le posizioni appaiono più sfumate: ciascuna area ha il proprio responsabile, ma il titolare ha l’ultima parola un po’ su tutto. Due grossisti affermano chiaramente che le posizioni più delicate sono rimaste all’interno della famiglia: in un caso perché la direzione commerciale è considerata “strategica” e incedibile; nell’altro ci sarebbe la disponibilità a delegare, ma solo a figure che portino professionalità e competenze non reperibili in famiglia.

 Decisioni condivise. Il tutto trova riscontro anche nel modello organizzativo delle imprese sotto analisi. In 19 casi su 22, i grossisti dichiarano di non voler calare le decisioni completamente dall’alto, preferendo ascoltare i collaboratori più validi e condividere con loro idee e progetti, prima di prendere delle decisioni. Trattandosi per lo più di piccole imprese, che annoverano nella quasi totalità dei casi fino a 10 persone, organizzare delle riunioni settimanali in cui discutere di problemi e opportunità non è complicato: non c’è da convocare alcun CdA. Anche nei casi in cui la proprietà dichiara di voler tenere in famiglia il processo decisionale, si riscontrano comunque delle ampie deleghe operative.

Generazioni in campo. Se molti ragazzi pensano che i propri genitori incontrino delle difficoltà a riconoscersi nel mondo attuale, i secondi pensavano la stessa cosa di quelli che oggi sono i nonni dei primi. I negozi di elettroforniture italiani che recano ancora sull’insegna il cognome o la sigla del fondatore, sono uno scrigno di esperienze che si tramandano di generazione in generazione. Come è scontato che in 9 casi su 10 il padre-fondatore, seppur in pensione, continui a dare consigli e input più o meno vincolanti, molti ragazzi che hanno al massimo 35 anni gestiscono filiali o trattano con i fornitori. Il ricambio generazionale è avvenuto completamente in 6 casi su 10, negli altri 4 è comunque in corso. Tale dinamica resta semmai poco valorizzata sul piano della comunicazione e dell’autoconsapevolezza. Sarebbe invece un’opportunità da cogliere: il mercato premia sempre di più lo storytelling basato su elementi di autenticità, che le imprese di famiglia possono chiaramente offrire.

(Stefano Troilo)

 

Le risposte alle nostre domande

LAVORO E SENTIMENTI POSSONO COESISTERE?

Sì: 12

No: 10

I FIGLI HANNO SCELTO PERCORSI DI STUDIO IN FUNZIONE DELLE ESIGENZE AZIENDALI?

Sì: 5

No: 17

PERSONE ESTERNE ALLA FAMIGLIA HANNO RUOLI O INCARICHI DI RESPONSABILITA’?

Sì: 20

No: 2

PERSONE ESTERNE ALLA FAMIGLIA PARTECIPANO ALLA DEFINIZIONE DELLE STRATEGIE AZIENDALI?

Sì: 20

No: 2

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