L’edificio intelligente e la sua certificazione

Smart Buildings Alliance (SBA) e Smart Readiness Indicator (RSI) sono le due associazioni nate per certificare l’intelligenza dell’edificio: due approcci diversi, ma complementari.

Si è parlato molto dei motivi per cui un edificio debba essere intelligente, quindi non vi annoierò per l’ennesima volta. È vero, non tutti gli edifici vengono costruiti o ristrutturati secondo criteri di qualsivoglia smartness, ma il vero segno di svolta è già passato, da quando abbiamo smesso di interrogarci sul perché farlo, ma abbiamo cominciato a fare e basta. Se si deve installare un sistema a pompe di calore, anche di piccole dimensioni, oggi nell’85% dei casi è realizzato secondo criteri smart; se si vuole controllare l’edificio con telecamere, allora la percentuale sale ancora; se si alimenta con un sistema fotovoltaico, la gestione intelligente è d’obbligo. Ci sono pochi settori dell’impiantistica collegata all’elettricità che resistono con percentuali di dumbness più elevati, ma il trend è segnato. Mettere intelligenza e comunicazione costa sempre meno, quindi si farà anche dove sarebbe superfluo.
Per avere però una buona comprensione del tema, ed evitare polemiche inutili, è bene circoscriverne il perimetro, e chiedersi cosa intendiamo per smart building. Il Politecnico di Milano, in una sua grandemente meritoria iniziativa di reporting, presentata in febbraio di quest’anno, ha introdotto questa definizione: un edificio i cui impianti sono gestiti in maniera intelligente e automatizzata, grazie a un’infrastruttura di supervisione e di controllo, per minimizzare il consumo energetico, favorire il comfort e la sicurezza, il tutto nell’integrazione con il sistema elettrico.

Questa definizione ha il vantaggio di evidenziare sinteticamente quali possano essere i principali obiettivi progettuali, e quindi va bene. Mi permetto comunque di osservare che alcuni aspetti fondamentali di quello che intendiamo come comportamento smart non sono del tutto chiariti. Il concetto di intelligente, ad esempio, è vago, la comunità scientifica aspetta ancora una definizione condivisa. Se volessimo invece adottare il comune sentimento, per cui l’intelligenza è la capacità di affrontare e risolvere con successo situazioni e problemi nuovi o sconosciuti, dovremmo concludere che probabilmente nessuno degli edifici definiti smart sia intelligente, tranne forse qualcuno che fa ampio uso di AI.
Dato che non sono un filosofo, ma un ingegnere, tra noi tecnici userei un criterio operativo più circoscritto e, cosa che è fondamentale nell’impostazione ingegneristica, misurabile. Inizierei quindi a elencare gli elementi che costituiscono la struttura di quello che, implicitamente, viene oggi inteso come edificio intelligente:
– l’edificio come struttura, ovviamente.
– i servizi ad esso dedicati, integrati e indistinguibili dai propri sistemi di supervisione e controllo, comprensivi di metodi di accesso e di risorse eventualmente condivisibili da altri.
– la rete di comunicazione e i dati che permettono a questi servizi di operare e scambiare informazioni tra loro e con altri a livello locale.
– la connessione imprescindibile dell’edificio alla realtà esterna, in termini di scambio energetico, di acqua, gas, e dati, insieme ai rispettivi metodi di accesso.

L’ultimo elemento, spesso trascurato, è invece fondamentale. Non esiste smart city senza smart building, e viceversa. Nessuno può essere definito intelligente, se non in relazione funzionale con gli altri.
Sulla relatività del concetto di intelligenza è opportuno soffermarsi. Io mi considero di intelligenza media, ma in un raduno di premi Nobel, probabilmente sarei valutato come un cretino; viceversa, in altri consessi meno smart, di cui taccio per amor di patria, mi pare di talvolta di essere super-intelligente. Si sente pertanto la necessità di lavorare con criteri meno relativi e soggettivi, fissati se possibile in maniera misurabile e certificabile.
Vi vorrei quindi parlare di due iniziative, che si muovono in questa direzione, con obiettivi di fondo diversi ma in qualche modo complementari

L’edificio diventa una piattaforma di servizi che sono rivolti non solo alla persona, ma anche alla collettività (Fonte SBA)

Smart Buildings Alliance
Si tratta di un’associazione nata in Francia, ma che si sta rapidamente ramificando in Europa. È stata costituita, con ampia partecipazione dei costruttori e dei produttori, per rispondere a una visione orientata all’interazione dell’edificio con il contesto in cui si trova, quindi sia l’ambiente esterno, sia l’utenza interna. In altri termini, si considera come essenziale la connessione, in entrambe le direzioni. L’aspetto fondamentale di questo approccio riguarda l’attenzione che si presta al concetto di servizio. Ci sono servizi che l’edificio presta, essenzialmente a chi lo vive o a chi lo gestisce, ma anche all’ambiente in cui si trova (si pensi ad esempio agli edifici pubblici o commerciali); e ci sono anche servizi di cui l’edificio fruisce, insieme ai suoi occupanti, come energia, acqua, gas e internet.
In particolare la connessione a internet diventa essenziale, in quanto è ormai diventato l’elemento federatore, di controllo e di supervisione degli altri succitati servizi. Difatti non si gestisce più l’energia disgiunta dai dati che la controllano, si veda ad esempio il contatore smart. Sicurezza, salute e benessere, termoregolazione, comfort di ogni tipo non possono più prescindere dalla connessione.
Quello che caratterizza la Smart Buildings Alliance (SBA) rispetto ad altre iniziative, è proprio l’attenzione agli effetti, piuttosto che alle tecnologie. Sappiamo che la tecnologia è sempre in evoluzione, un approccio troppo basato su di essa rischia di diventare obsoleto in breve tempo, oltre che di fermarsi a un livello troppo basso. La SBA guarda invece a livello più alto, alle architetture di sistema: da un lato alle interazioni tra edificio e città, sistemi e grid di ogni tipo; dall’altro ai temi sociali ed etici legati alla possibilità di realizzazione di servizi attuali e futuri, gettando le premesse tecniche di una vera architettura sociale.
Questo aspetto in particolare vale la pena di essere approfondito, perché porta come conseguenza alla visione dell’edificio come un insieme ordinato e definito di risorse accessibili. Per fare un parallelo familiare a chiunque, prendiamo come esempio lo smartphone. Al suo interno ci sono svariate risorse: lo schermo, la tastiera, la memoria, la telecamera, svariati sensori di temperatura, orientamento, posizione etc. Queste risorse sono utilizzate per realizzare funzioni vendute con il dispositivo, ma vengono anche impiegate da terze parti, grazie a precisi criteri di accesso come i sistemi operativi e le API (interfacce di programmazione per le applicazioni), per creare nuovi servizi, non previsti neppure dal costruttore dello smartphone. Tali nuove funzioni aumentano l’utilità del dispositivo e di conseguenza il suo valore. Questo è uno degli intenti primari di SBA per l’edificio, vederlo come un insieme di risorse che hanno ovviamente uno scopo principale, ma che sono disponibili per chi voglia realizzare altro, in maniera olistica, senza costi aggiuntivi.
Per entrare concretamente nel tema, SBA ha creato un insieme di criteri, a cui ci si riferisce come R2S, Ready to Service, ai quali l’edificio deve ottemperare. Forse il più importante è proprio la connessione, e i domini di applicazione riguardano le grid; l’assistenza; il benessere; la mobilità e la gestione degli spazi. Un ente certificatore verifica che i requisiti siano rispettati, e rilascia una label che può essere apposta sull’edificio, e che si chiama appunto R2S.
Un altro punto di attenzione, nell’approccio pragmaticamente architetturale di SBA, è rappresentato dalla metodologia di progettazione BIM. L’utilizzo dei modelli sta diventando una componente abituale, se non obbligatoria, del progetto. Se si integra il rispetto dei criteri R2S in fase di progettazione, si evitano gli aggiustamenti successivi, che comportano sempre extra-costi e compromessi. Soprattutto quando il BIM evolverà dal modello descrittivo a quello funzionale, necessario per le simulazioni di funzionamento del sistema edificio.
Un ultimo commento di rilievo: come detto, per SBA la connessione è fondamentale. Benché l’approccio sia indipendente dalla tecnologia, l’uso di internet rende conseguente l’enfasi data all’Internet Protocol, IP, tanto da renderlo un elemento importante anche per la gestione interna dell’edificio. Da notare che qui non si parla delle reti dati che collegano i computer degli utenti, ma di una rete appositamente progettata e installata ad uso dell’edificio in quanto tale. La cosa non sorprende, in quanto corrisponde alla tendenza di fatto standardizzata e universalmente adottata per i sottosi,stemi critici dello smart building.

Smart Readiness Indicator
Mentre la Smart Buildings Alliance ha seguito un approccio top down, partendo dalla visione dell’edificio come elemento di una Smart Society, la UE ha cercato di definire cosa rende intelligente un edificio all’interno di una direttiva sulle prestazioni energetiche dell’edificio, la N°844 del 2018. L’articolo 8 ha istituito un indicatore europeo ad adozione volontaria, chiamato Smart Readiness Indicator (SRI). Anche qui lo scopo dichiarato è di promuovere l’adozione di tecnologie digitali che permettano il controllo e la gestione dell’edificio, nonché il suo adattamento, flessibile nel tempo, ai bisogni di chi lo occupa.
La derivazione da una direttiva sull’energia ne focalizza ovviamente i contenuti, trattando principalmente tre temi ad essa correlati, cioé: efficienza e funzionamento dell’edificio; capacità di adattarsi alle esigenze degli utenti; flessibilità nella gestione della domanda de’energia.
L’SRI è ancora work in progress, anche se ci si attendono risultati a breve. La Commissione Europea per l’Energia ha commissionato la formalizzazione di questo indicatore ad un team di consulenti, e i primi documenti definitivi e utilizzabili dovrebbero essere disponibili entro il primo semestre 2020. Anche perché, almeno in teoria, entro il 10 marzo 2020 sarebbero dovuti uscire i provvedimenti di recepimento a livello nazionale.
In ogni caso, un documento pubblicato nel 2018 già ci dà un’idea di come questo indice viene costruito. Si parte dalla valutazione dei servizi smart presenti in edificio, anche qui in maniera il più possibile indipendente dalla tecnologia. I servizi vengono suddivisi in dieci settori di applicazione, tutti più o meno legati all’energia, che sono: riscaldamento; raffrescamento; illuminazione; acqua sanitaria; ventilazione; produzione energetica locale; ricarica dei veicoli elettrici; involucro dinamico; gestione della domanda; supervisione e controllo. A questi settori è stato aggiunto un settore “varie ed eventuali”, per tutto quello che non rientra nei precedenti. Da chiarire se tratterà anche di settori di primario interesse, come quello della sicurezza. Di primo acchito, direi di no.
Ogni servizio viene valutato secondo diversi livelli di intelligenza. Per intenderci, dall’accendi-spegni manuale, il livello più basso, fino al controllo integrato all’analisi dei parametri ambientali esterni, il livello più alto.
Nello studio citato sono state definite otto categorie d’impatto per questi servizi, e cioé: energia; generazione locale; comfort termico; ergonomia; benessere e salute; manutenzione; flessibilità della domanda; informazione agli occupanti.
Il punteggio ottenuto dalla valutazione in ognuno dei settori verrà mediato da coefficienti di ponderazione. Quindi verrà generato un indice complessivo, una sorta di QI dell’edificio, eventualmente esplicitato in punteggi secondari.
Chiaramente qui si nascondono due problemi, su cui a mio parere la commissione dovrebbe lavorare. Il primo problema è legato all’ambiguità di un indice QI generale, il cui valore può essere ottenuto in molti modi differenti. Essendo oltretutto fortemente condizionato all’aspetto energetico, poco dice a chi vuole un edificio intelligente per altri usi, ad esempio per assistere degli anziani. Il secondo problema è legato alla costruzione di una matrice tridimensionale di dieci settori più varie, differenti livelli di smartness, e otto categorie d’impatto, oltretutto con possibili ambiguità o sovrapposizioni nella loro definizione. La costruzione è complicata, la comunicazione ancora di più.

Conclusioni
Che un criterio di valutazione dell’intelligenza di un edificio sia utile è indubbio, sia come metodo di progettazione, sia per la comunicazione e per la scelta da parte del proprietario o dell’utente. Stimare l’intelligenza di un nostro interlocutore umano è qualcosa che facciamo istintivamente, prima di addentrarci in una discussione. Pensate a come potrebbero essere diversi i risultati delle elezioni, se a fianco della foto del candidato fosse mostrato sui manifesti elettorali il suo quoziente intellettivo certificato. Qui abbiamo visto brevemente due criteri. Il primo, promosso da costruttori e produttori, è quello della SBA. E’ disponibile oggi sotto forma di label R2S certificata, e corrisponde ad un approccio integrale orientato a permettere e facilitare servizi attuali e futuri, partendo da architetture top-down. Il secondo, promosso dalla Commissione Europea, è ancora in fieri, ed è connesso alla direttiva sull’energia. Parte bottom-up dai servizi già esistenti nell’edificio, ed è di natura prevalentemente energetica. Come si può osservare, possono esserci degli elementi comuni, ma gli scopi sono diversi e grandemente complementari.

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