
Una condomina veniva citata in giudizio dagli altri comunisti affinché venisse dichiarato illegittimo l’intervento edilizio effettuato, consistito nel recupero, a fini abitativi, del sottotetto di sua proprietà, attraverso il taglio del tetto e la costruzione in sopraelevazione di un manufatto. I condomini rilevarono che i lavori oltre a violare il regolamento condominiale, erano lesivi del decoro e dell’aspetto architettonico.
Mentre il Tribunale accolse la domanda, la Corte d’appello, in riforma della sentenza, rigettò le domande. La Corte di Cassazione, con la sent. n. 30856 del 2024, ha cassato la sentenza rinviando alla corte d’appello. Difatti, il giudice di legittimità ha in posto l’attenzione sulla distinzione tra decoro architettonico e aspetto architettonico affermando che:
« […] per decoro architettonico si intende l’estetica conferita allo stabile dall’insieme delle linee e delle strutture ornamentali che ne costituiscono la nota dominante, atta ad imprimere alle varie parti dell’edificio, nonché all’edificio stesso nel suo insieme, una sua determinata armonica fisionomia e specifica identità, visibile ed apprezzabile dall’esterno», mentre, per aspetto architettonico ha affermato che: «opera come limite alla facoltà di sopraelevare e che si identifica come la caratteristica principale insita nello stile architettonico dell’edifico destinata a deteriorarsi, secondo l’occhio di qualunque osservatore, in caso di adozione, nella parte sopraelevata, di uno stile diverso da quello della parte preesistente».
Ovviamente, nel valutare l’illegittimità del manufatto, nel caso di specie la Cassazione ha rilevato che: «[…] le due nozioni, tuttavia, lungi dall’esser tra loro indipendenti, sono legate da un vincolo di complementarietà, nel senso che esse non possono prescindere l’una dall’altra, sicché, anche l’intervento edificatorio in sopraelevazione deve rispettare lo stile del fabbricato, senza recare una rilevante disarmonia al complesso preesistente, sì da pregiudicarne l’originaria fisionomia ed alternarne le linee impresse dal progettista».
(Corte di Cassazione sentenza n. 30856 del 2024)