Lo scopo della progettazione – in ogni campo – è concepire un’opera che sia realizzabile a costi di mercato, risponda alle esigenze della committenza e sia conforme alla normativa vigente. Tuttavia, è sempre più richiesta un’attenzione ulteriore alla manutenibilità e all’espandibilità di quanto ideato, secondo un approccio noto come “Design for Maintenance”.
Le opere di ingegneria per poter essere usufruite in modo efficiente devono essere periodicamente oggetto di manutenzione; solo per fare riferimento ad alcuni adempimenti, è sufficiente pensare a quanto previsto dalla Norma CEI 64-8 Parte 6 per l’impiantistica elettrica in bassa tensione oppure alle indicazioni della norma UNI 11224 per gli impianti di rivelazione fumi o ancora alla verifica degli impianti di messa a terra ai sensi del DPR 462/01. Ma non solo.
L’impiantistica elettrica progredisce e segue le nuove esigenze della committenza oppure l’evoluzione tecnologica. Si tratta di un fatto molto evidente in ambito industriale, dove gli ampliamenti di impianto possono arrivare a un punto tale da modificare il livello di connessione alla rete elettrica o moltiplicare le cabine elettriche interne alla rete di utenza; da non sottovalutare anche l’ambito civile, in cui le variazioni richieste negli anni possono essere meno impattanti ma altrettanto difficoltose se non già opportunamente previste in fase di progettazione.
Di seguito sono elencati alcuni esempi tratti dall’esperienza personale, che non saranno esaustivi di tutta la casistica, ma che possono essere quantomeno rappresentativi dei concetti di base.
I cavidotti
Banalizzando, un impianto elettrico è costituito in massima parte da protezioni e cavi: le prime sono alloggiate all’interno di quadri elettrici più o meno complessi – dal centralino domestico agli armadi di automazione – mentre i secondi sono posati in vie cavi che possono essere di svariate tipologie. Con riferimento ai cavidotti, i problemi che si riscontrano dopo la realizzazione dell’opera sono principalmente di due tipi: – accessibilità alle vie cavi; – disponibilità delle vie cavi.
Accessibilità alle vie cavi
Per accessibilità alle vie cavi si intende la facilità con cui è possibile afferire a un cavidotto esistente per posare un’altra linea, magari in sostituzione di una linea esistente ammalorata oppure un nuovo circuito. La scelta della tipologia di cavidotto condiziona strettamente la sua accessibilità; normalmente le passerelle portacavi costituiscono la via cavi di più semplice gestione, mentre le tubazioni sottotraccia oppure posizionate a parete sopra controsoffitti in cartongesso risultano essere quelle più complicate.
Nella progettazione di queste ultime, quindi, occorre prestare attenzione alla corretta progettazione in numero e posizione delle scatole di derivazione, in quanto costituiscono l’unica via di accesso ai cavidotti nascosti. In egual modo, è necessario sensibilizzare i progettisti edili e architettonici nell’utilizzo di botole di accesso ai controsoffitti – quando non facilmente rimovibili – per poter ispezionare le cassette di derivazione, le quali devono es sere installate proprio in corrispondenza di tali botole di apertura, in modo da non rimanere irraggiungibili.
Spesso, infatti, nell’esecuzione dell’impianto, la posa del controsoffitto è successiva alla posa delle dorsali degli impianti elettrici e pertanto tali problemi si riscontrano solo “ex post” se non adeguatamente affrontati già nella fase di design.
Disponibilità delle vie cavi
Per disponibilità delle vie cavi si intende la presenza di cavidotti liberi totalmente o parzialmente, e quindi idonei per la posa di altre future linee. Questo aspetto sottintende l’applicazione di almeno uno dei seguenti concetti, applicabili sia alle vie cavi nascoste (es. corrugati sottotraccia o interrati) che anche in quelle a vista:
- aumento del numero di cavidotti;
- sovradimensionamento dei cavidotti.
Attenzione però, non è solo una questione economica e di spazio disponibile (benché il rapporto costi/benefici sia largamente superiore), ma anche normativa. È bene ricordare, infatti, che la Norma CEI 64-8 Par. 522 prevede che le condutture siano «[…] scelte e messe in opera in modo da evitare, durante la messa in opera, l’uso o la manutenzione, danneggiamenti alle guaine, agli isolamenti dei cavi ed alle loro terminazioni […]. Si raccomanda di prevedere la sfilabilità dei cavi».
Per gli impianti civili la sopracitata norma al Par. 37.2 prevede che «[…] i cavi devono essere sfilabili qualunque sia il livello dell’impianto, ad eccezione di elementi prefabbricati o precablati […]. Nelle cassette di derivazione, dopo la posa di cavi e morsetti, è opportuno lasciare uno spazio libero pari a circa il 20% del volume della cassetta stessa».
Inoltre, è nota a tutti la prescrizione normativa per la quale i cavi di potenza devono essere posati in cavidotti separati da quelli di segnale (a meno che non si usino cavi tutti isolati per la massima tensione di sistema). A tal proposito, l’evoluzione della tecnologia porta spesso alla posa di cavi dati inizialmente non previsti all’interno di opere esistenti, quali, per esempio, la rete dati o il bus di comunicazione per la domotica in caso di conversione di un impianto tradizionale con uno smart. In sostanza, vale sempre il principio per cui i cavidotti non sono mai abbastanza.
I quadri elettrici
Un discorso analogo a quello dei cavidotti è applicabile anche ai quadri elettrici. Oltre alla normativa tecnica vigente, nella progettazione di un quadro elettrico è necessario tenere in considerazione quanto segue:
- il quadro elettrico è un equipaggiamento non concepito per essere manovrato costantemente;
- si tratta di un equipaggiamento elettrico destinato ad essere modificato.
Per quanto riguarda il primo punto, a titolo di esempio è frequente vedere nell’abito industriale comandi a frontequadro (pulsanti di accensione luci, ecc.) inseriti in centralini con portelle plastiche che devono essere aperte e richiuse per poter azionare il comando. Tale scelta comporta dei frequenti problemi manutentivi in quanto:
- l’apertura e la chiusura delle portelle comporta la rottura delle medesime, che poi di fatto non vengono mai sostituite;
- la mancanza della portella deteriora conseguentemente il grado di protezione del quadro, che quindi potrebbe non essere più adatto all’ambiente di installazione;
- anche a fronte di quadro integro, se l’ambiente in cui si muove l’operatore è critico (ad esempio, con presenza di oli o solventi) c’è il rischio che contestualmente all’azione manuale sul quadro tali sostanze si depositino anche sulle protezioni compromettendone l’affidabilità.
È opportuno quindi separare dal quadro elettrico tutti quei comandi destinati a essere azionati di frequente, “relegandoli” in pulsantiere esterne e lasciando nel quadro solo protezioni ed eventuali comandi con bassa ripetitività di manovra.
Con riferimento al secondo punto, anche i quadri elettrici sono destinati a modificarsi nel corso della vita utile dell’impianto. La Norma CEI 64-8/3 al Par. 3.7 disciplina l’espandibilità dei quadri domestici: «per permettere successivi ampliamenti, i quadri devono essere dimensionati per il 15% in più dei moduli installati, con un minimo di due moduli». Avere sufficiente spazio all’interno del quadro non è solo importante per consentire le evoluzioni future ma anche per garantire un’agevole manutenzione, che consiste nella verifica dei serraggi, nella pulizia del quadro e in altre attività normativamente previste.
I vani tecnici
Il locale tecnico è uno spazio all’interno di un edificio il cui scopo è quello di ospitare tutti gli equipaggiamenti degli impianti tecnologici. Pensare di concentrare tutti i principali componenti elettrici (ad esempio, quadro elettrico generale, centrali di allarme, inverter fotovoltaico e gruppi di accumulo) in un vano dedicato consente una realizzazione impiantistica più razionale e maggiormente gestibile in fase di manutenzione. Ciò è molto frequente nel comparto industriale o commerciale, ma è opportuno prevedere tale fattispecie anche in ambito residenziale.
Con particolare riferimento a quest’ultimo, uno dei primi ostacoli che viene meno è il fattore estetico. Il locale tecnico consente di avere un quadro elettrico generale non necessariamente a incasso nella muratura ma a giorno e una distribuzione elettrica a vista, con la conseguenza di migliorare la dissipazione termica a parità di spazio occupato. Questo è particolarmente importante proprio in questo periodo storico in cui la maggior parte dei dispositivi alimentati a gas (fornelli, caldaie, ecc.) stanno lasciando spazio a equivalenti elettrici (induzione, pompe di calore, ecc.), che tuttavia non fanno altro che aumentare le dimensioni dei quadri nonché le potenze elettriche in fornitura.
La presenza di un locale dedicato, inoltre, consente la realizzazione di allestimenti che non sarebbero possibili nelle ordinarie condizioni domestiche; basti pensare, ad esempio, alla possibilità di installare un corpo illuminante di emergenza in prossimità del quadro elettrico in modo da garantire, in caso di emergenza, la visibilità nell’area degli interruttori di manovra. L’esistenza di un locale tecnico, inoltre, consente di controllare alcune condizioni ambientali importanti per la vita dei dispositivi elettrici; è il caso, per esempio, di ventilazione ed umidità, particolarmente critiche nel caso di inverter solari e sistemi di accumulo.
I corridoi di manutenzione
Progettare un impianto significa anche occuparsi dell’area intorno all’impianto stesso. Per poter installare e mantenere un impianto elettrico, infatti, è necessario che lo spazio a disposizione degli operatori sia sufficiente, anche nell’ottica della manutenzione. In alcuni casi è facile perché è la Norma stessa che impone determinati requisiti: la guida CEI 11-35 sulle cabine elettriche di utenza MT/BT prevede che all’interno del locale i passaggi abbiano una larghezza minima di 80 cm e che lo spazio di evacuazione debba essere sempre almeno di 50 cm libero da ostacoli, con una lunghezza non superiore a 20 m; analogamente, lo spazio destinato a montaggi e manutenzione – se posto dietro apparecchiature chiuse – deve essere non inferiore a 50 cm.
Il problema si presenta in assenza di specifiche prescrizioni normative, quando la presenza o meno degli spazi di manutenzione viene lasciata alla discrezionalità del progettista e/o dell’installatore dell’impianto. Gli esempi più eclatanti si riscontrano sugli impianti fotovoltaici, in cui sono proprio le modalità di posa a essere il primo ostacolo alla manutenzione. Installare un impianto fotovoltaico senza spazi di passaggio oppure con corridoi non idonei ad essere calpestati (ad esempio, lucernari) non permette di ispezionare i pannelli né tantomeno pulirli senza dover calpestare il generatore stesso o mettere a rischio l’incolumità dell’operatore.
Una strada tutta in salita
L’approccio relativamente moderno analizzato nell’articolo ha lati indubbiamente positivi, ma deve fare i conti con alcuni ostacoli non trascurabili tra i quali l’incremento dei costi. È indubbio che i sovradimensionamenti e gli “spazi disponibili” incidano sul computo di un impianto e che la committenza non lungimirante possa intendere questo aspetto come uno spreco o peggio come incapacità del progettista.
Un ulteriore intralcio sulla strada è rappresentato da altri tecnici – soprattutto progettisti architettonici – che continuano a ritenere l’impianto elettrico come un’inutile interferenza al design di interno, riducendo lo spazio necessario per le vie cavi e per il quadro elettrico al minimo indispensabile senza alcuna prospettiva di ampliamento futuro. Insomma, la strada è ancora tutta in salita.