Come rendere smart l’edificio storico

Per rendere smart un edificio soggetto a vincoli è necessario prevedere funzioni integrate tenendo presente che l’incremento di costo non è proporzionale alla flessibilità ottenuta.

Il nostro Paese è la cassaforte della cultura occidentale. Questo lo si vede non solo nelle opere d’arte, ma anche e soprattutto nel paesaggio urbano, per il numero incalcolabile di edifici rilevanti per storia o per pregio artistico. Ma anche senza andare nell’eccelso, molti di noi vivono in case che hanno attraversato la Storia. Anni fa avevo visitato a Toronto un castello neogotico costruito appena prima della Grande Guerra, Casa Loma. La cortese guida dell’annesso museo storico, il museo Spadina, ci aveva condotti a visitare le cantine, il cui pavimento era formato da lastre di vetro, per vedere i cosiddetti “reperti archeologici”, cioè fondazioni di edifici precedenti risalenti alla fine del 1800. La comitiva era mista per nazionalità e la guida, una ragazza di una ventina d’anni vestita con un costume storico, aveva chiesto a ciascuno di noi la provenienza. Saputo che ero italiano, mi chiese ingenuamente se da noi c’erano edifici di quella antichità. Tra lo sbalordimento di tutti, risposi che non pochi italiani vivevano ancora in case medievali, vecchie anche 600-700 anni, e che qualcuno (pensando ai Sassi di Matera) abitava in dimore costruite 3300 anni fa, cioè prima della Guerra di Troia, tanto per farsi un’idea.
Questa è una nostra eredità, un privilegio e una responsabilità nei confronti nostri e del mondo intero. Nondimeno l’edificio deve essere funzionale, e la casa accogliente. Non perché la casa sia vecchia bisogna rinunciare a vivere con comodità, o senza rispettare i criteri di miglioramento continuo in ogni campo: la tecnologia attuale lo consente, quindi usiamola. L’approccio alla progettazione delle infrastrutture deve per forza essere differente rispetto al caso dell’edificio nuovo, e non tutti i gradi di libertà sono disponibili. Ma questo potrebbe non essere un problema; inoltre sono convinto che gli italiani rendano di più quando sono un po’ “compressi”, come un buon motore da auto sportiva.

Definire l’obiettivo

Il primo passo da fare, ovviamente, è precisare cosa vogliamo ottenere: sembra una banalità, ma seguitemi che il ragionamento non è proprio scontato. Quando i sistemi non erano smart, a un prodotto o a un sistema corrispondeva uno scopo. Se hai bisogno metti, se non ti serve togli. Con i sistemi intelligenti l’approccio è un po’ diverso: gli elementi che implementano una funzione possono essere utilizzati anche per realizzarne altre, magari cooperando con i dispositivi installati per tutt’altri motivi. Tenerne conto è consigliabile sempre, anche nella costruzione nuova, per le evidenti economie di costo provenienti dalla mancata duplicazione di dispositivi similari, ma vale a maggior ragione per un edificio storico in cui la presenza di vincoli, a volte molto stringenti, rende problematica l’installazione e l’uso degli spazi. Quindi dobbiamo listare le funzioni prioritarie, ad esempio illuminazione, controllo della temperatura, sicurezza etc.; bisogna fare anche una lista di funzioni che sarebbe utile avere, ad esempio comfort, controlli vari; infine una lista di funzioni a cui essere predisposti, ad esempio il supporto delle persone con mobilità ridotta. Il semplice fatto che il progettista abbia già in mente altri possibili utilizzi degli stessi dispositivi influisce inevitabilmente sul progetto, sulla collocazione e sulla connettività, con grande vantaggio per la flessibilità d’uso. Anche la correzione di eventuali errori o problemi non considerati in fase progettuale diventa più agevole.

Valutare le condizioni di contorno

Gli edifici storici sono normalmente soggetti a vincoli, sia oggettivi che formali. Questo deriva dalla necessità di tutelare, oltre che la sicurezza degli occupanti, anche la costruzione stessa e il suo contenuto, prendiamo come esempio un museo ospitato da un palazzo storico insieme alle opere in esso esposte, ma anche semplicemente una casa medievale nel centro di una delle nostre belle città storiche. Il primo riferimento che viene in mente è l’immarcescibile CEI 64-8, cioè la Bibbia del progettista e dell’installatore. La seconda è una norma della fine degli anni novanta, la CEI 64-15, che si applica, testualmente, a edifici pubblici o privati, monumentali o no, pregevoli per rilevanza storica o artistica sia del punto di vista della struttura che del contenuto o di entrambe, destinati ad abitazione, a uso commerciale o lavorativo, a uso pubblico, come scuole e ministeri, oppure adibiti a musei, gallerie, mostre o esposizione di oggetti d’arte o collezioni, biblioteche, archivi storici, teatri e simili. Questa norma è importante per due motivi:
– introduce delle prescrizioni aggiuntive, volte a proteggere l’edificio e il suo contenuto;
– si avvale del concetto di “sicurezza equivalente” nel caso in cui esistano dei vincoli sull’edificio che impediscono di utilizzare le metodologie previste dalla 64-8.
In riferimento a questo ultimo punto, si tratta di misura di sicurezza alternativa a quella richiesta ma di uguale efficacia, adottabile solo ed esclusivamente in presenza di oggettivi vincoli di natura storica o artistica, come il vincolo formale della Soprintendenza dell’Archeologia, Belle Arti e Paesaggio. L’approvazione delle alternative è demandata ai VV.FF., ma il supporto della CEI 64-15 è ovviamente un viatico prezioso, motivo per cui vi rimando a questa norma e ai criteri di dettaglio in essa contenuti.
Permettetemi una piccola parentesi sugli aggiornamenti recenti della CEI 64-8, di cui lo scorso anno è uscita la versione 5. La questione spinosa riguarda le protezioni dalle sovratensioni, qui richiamate perché il patrimonio culturale è esplicitamente citato come oggetto di tutela. Senza voler entrare nel merito dei requisiti normativi, mi sento comunque in dovere di attirare la vostra attenzione sul fatto che i dispositivi di protezione fanno il loro mestiere, ma l’installazione è importantissima, e può vanificare ogni sforzo progettuale. Lo scaricatore semplicemente scarica la sovratensione tra il morsetto A e il morsetto B, ma dove questi vengono collegati fa la vera differenza. Ho visto impianti in cui la connessione a terra era lunga, oppure strettamente adiacente ai conduttori da proteggere, vanificando l’intervento del dispositivo; o addirittura rischiava di mandare le extratensioni sulle masse metalliche lontane dal punto di messa a terra, con rischio per le persone. Quindi massima attenzione.
Tra le condizioni di contorno, forse la più importante è lo stato in cui versa l’installazione preesistente dell’edificio storico. Una ispezione accurata e una mappa precisa possono evitare lavori inutili e una gran perdita di tempo, aprendo anzi nuove opportunità.

Il progetto di “smartizzazione”

Perdonatemi il neologismo, si dirà così, rendere “smart”? Anche perché “intelligentizzazione” suona male. Oltretutto, in un’Italia che, non so se condividete, ma sembra piuttosto “ignorantizzata” negli ultimi anni…
Quindi smartizziamo. Un edificio storico presenta ovviamente delle difficoltà che il nuovo non contempla. Anzitutto gli spazi e le superfici sono problematici. Non è che posso scavare delle tracce in un affresco per posare nuovi cavi. O sostituire del lampadari storici perché non hanno la messa a terra. Così come non posso rivestire con un cappotto un palazzo del ‘500. Vanno quindi valutate attentamente le tecnologie che ci consentono di installare e far comunicare tra di loro i dispositivi dei vari sistemi previsti, sia dal punto di vista funzionale che da quello della sicurezza.

Partiamo subito da quello che non va fatto

In primis non cediamo alle sirene dell’Internet of Things, secondo le quali si può fare ogni cosa installando dispositivi after-market definiti “intelligenti”. Nella maggior parte dei casi si tratta di giocattoli, inadatti all’installazione professionale e destinati all’obsolescenza, o a finire in un cassetto nel giro di pochi anni. Nella valutazione deve per forza entrare anche la perennità dei servizi esterni, ad esempio i Clouds. Quanti impianti di videosorveglianza sono diventati inutili, perché le aziende produttrici hanno smesso il servizio remoto; il dispositivo va ancora, ma la funzione no. Non c’è nulla di alternativo a un buon progetto installativo, realizzato con componenti professionali e garantiti. Onestamente, non è possibile certificare un impianto fatto con “cinesate” di cui non so nulla, o a installare oggetti pensati per un cordone con spina, o a mettersi nelle mani di una super-multinazionale dell’elettronica di massa, che ogni anno cambia amministratore delegato e politica aziendale, e non ci pensa due minuti a chiudere interi settori di prodotti o di servizi.
In secondo luogo non crediate che, di fronte alle difficoltà installative, coi dispositivi wireless si possa fare tutto. Sono ovviamente degli utili ausili, ad esempio un punto di comando radio aggiuntivo può essere installato con grande facilità e poca invasività. Ma il wireless deve essere visto come complemento a una dorsale sicura ed affidabile, e questo oggi è garantito solo dal filare. Le radiofrequenze sono tuttora troppo labili per loro natura. I sistemi filari sono chiusi e predicibili, i sistemi wireless sono aperti alle condizioni ambientali e di vicinanza, quindi non sono prevedibili, quello che va oggi non è detto che vada domani, basta che cambi qualcosa nei dintorni, masse, strutture metalliche, altre emissioni radio etc.. Ovviamente ci sono eccezioni a questo principio: ad esempio, difficile prevedere di sostituire la semplicità installativa di una rete dati WiFi con un ethernet cablata da diramare con gran fatica in un edificio storico.
Il mio primo consiglio è di separare i comandi dalla potenza. In questo modo otterremo due benefici:
– quello di minimizzare le parti di impianto critiche e soggette a prescrizioni di sicurezza più restrittive, cosa fondamentale nell’edificio sottoposto a vincoli;
– quello di riversare il massimo della flessibilità sulla parte di impianto che è più facilmente digitalizzabile. In questo modo le alternative funzionali, le modifiche, le eventuali evoluzioni future saranno più facilmente realizzate via software che con un intervento “hard” sull’impianto. Quindi ricorriamo tranquillamente ai bus digitali di comando e controllo, che non vi lasceranno mai a piedi.
Il mio secondo consiglio è di valutare seriamente l’utilizzo della SELV (security extra low voltage, bassissima tensione di sicurezza) per tutto quello per cui si può usare. Anche qui, con un minimo di attenzione all’effetto Joule e alla protezione termica, si riducono i problemi di messa in sicurezza. Vecchi lampadari di Murano e vetusti interruttori in porcellana possono essere ricuperati. L’illuminazione tramite LED aiuta moltissimo. Si trova un sempre crescente numero di lampade che funziona a tensioni SELV, con correnti comunque inferiori (e minori cadute) rispetto a quelle delle vecchie lampade incandescenti. Oggi con 10 W si fanno almeno 1000 lumen! Inoltre si evita di distribuire la terra, che è già un risparmio di rame considerevole e una gran quantità di grattacapi in meno. Si possono addirittura riutilizzare i vecchi fili isolati in tessuto.

Le canaline

Per quanto riguarda le canaline, negli edifici spesso si trovano i vecchi tubi Bergman, frutto di installazioni precedenti. Con le dovute cautele, e ammesso che i vecchi conduttori non siano incatramati dentro, perché non utilizzarli per ospitare le nuove tecnologie? Alla fine, sono i nuovi cavi a garantire le prescrizioni di sicurezza, usiamo con profitto i vecchi tubi con conduttori SELV o in doppio isolamento. Attenzione ai materiali, ricordo le prescrizioni introdotte dal decreto CPR sui materiali da costruzione.
Vi suggerisco una simpatica alternativa per l’installazione: i cavi con isolamento minerale. Sono normalmente composti da una guaina esterna in rame e uno o più conduttori interni in rame, isolati con polvere pressata di ossido di magnesio (MgO). Sono rigidi, quindi si autosostengono, e sono curvabili con raggi fino a circa sei volte il diametro, quindi potete adattarli a ogni circostanza installativa. Sono naturalmente antincendio e molto affidabili. La guaina conduttiva va ovviamente protetta dalle correnti disperse, ma sono cose facili da fare. Possono essere installati a vista e il rame della guaina, ossidandosi, li mimetizza perfettamente e con un bell’effetto estetico. Costano un po’ cari, ma neanche tanto, soprattutto se considerate i lavori murari e le altre beghe necessarie per le installazioni più tradizionali. I lavori sono minori e il sistema totale diventa più semplice e affidabile, e questo è già un gran bel vantaggio. Sono adatti anche a trasportare i bus digitali! Per esperienza diretta so che la maggior parte dei bus va egregiamente. Una sola avvertenza: il KNX funziona ma non è certificabile, in quanto la certificazione richiede il cavo (verde) specifico e omologato; l’SCS Bticino invece ammette il cavo minerale, so di realizzazioni già fatte. Comunque potete chiedere all’assistenza di questa o di altre aziende produttrici di bus.

L’edge computing

Ultimo suggerimento: prevedete un punto per l’edge computing. Si tratta dell’elaborazione locale dei dati prodotti dai vari sistemi digitali, che va sempre più ad alleggerire la necessità di ricorrere a cloud esterni e ad elaborazione remota, riducendo rischi e banda passante, aumentando nel contempo la sicurezza informatica, l’autonomia e l’efficienza dell’impianto locale. Normalmente, ma non sempre, il punto di installazione più conveniente è nei pressi della entrata della connessione alla rete dati esterna. Deve comunque essere una zona abbastanza protetta, anche fisicamente, per evitare sorprese. Una buona collocazione alternativa è nei pressi degli storage energetici, di solito posizionati in ambienti opportunamente controllati e protetti. Tanto le connessioni sono semplicissime: flusso dati al sistema locale e flusso dati alla rete pubblica.

Conclusioni

Valutate bene le condizioni di contorno, sia di situazione esistente che di vincoli normativi, specialmente la CEI 64-15. Rivalutate i bus filari SELV, che soprattutto negli edifici storici consentono una libertà di azione, una facilità di installazione e una grande affidabilità impensabili con altre tecnologie. Trovate una collocazione per l’edge computing. È necessario un piccolo spazio ma risolverà in futuro molti problemi.

Il primo edificio GBC Historic Building in Italia
Con un poco di attenzione, si raggiungono risultati incredibili anche negli edifici costruiti secoli fa. Prendiamo ad esempio la smartizzazione delle ex Scuderie della Rocca Benedettina di S.Apollinare a Perugia, del X secolo, in cui non ci sono solo i benefici derivanti da varie funzioni gestite da bus digitale, ma addirittura è il primo edificio storico a ottenere il certificato GBC Historic Building, tra l’altro a Livello Oro, conformemente ai criteri dello standard LEED.

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