Gli incidenti che capitano durante i lavori in uno spazio confinato sono, purtroppo, un fatto noto che periodicamente si ripete. Ma cos’è uno spazio confinato e perché è così pericoloso?
Nel 2008 due operai addetti ai lavori di pulizia della cisterna di una nave a Porto Marghera morirono asfissiati a causa dell’alta concentrazione di CO2; nello stesso anno a Molfetta (BA) cinque persone perirono per le esalazioni liberatesi durante la pulizia di un serbatoio di un camion che aveva trasportato zolfo, e via via fino a qualche mese fa, 28 marzo 2018, in cui due operai sono morti per esplosione occorsa durante le fasi di pulizia di una cisterna al porto di Livorno. Il bollettino delle vittime, insomma, è di guerra.
Come riconoscere un ambiente confinato
Riconoscere un ambiente confinato non è banale. Se alcuni sono facilmente identificabili, in quanto le limitazioni legate alle aperture di accesso e alla ventilazione sono ben evidenti e/o la presenza di agenti chimici pericolosi è nota (es. serbatoi di stoccaggio, silos, recipienti di reazione, fogne, fosse biologiche, ecc), altri ambienti potrebbero (ad un primo esame superficiale) non apparire come confinati, ma, in particolari circostanze legate alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa o a influenze provenienti dall’ambiente circostante, possono rivelarsi altrettanto insidiosi; tra questi si possono elencare le camere con apertura in alto, le vasche, i depuratori, le camere di combustione dei forni, le condotte in genere. In sostanza, ci sono durante lo svolgimento dell’attività lavorativa.
La pericolosità associata a tali ambienti è legata al fatto che una preparazione inadeguata sia dei lavoratori sia dei soccorritori porta generalmente alla morte di entrambi. Secondo le statistiche internazionali disponibili sul web, l’asfissia determina oltre il 50% delle morti, mentre le cadute sono cause di morte per il 25% dei casi; di tutti i morti sul lavoro in ambienti confinati, il 50% delle vittime è costituito dai colleghi che hanno tentato di soccorrere il primo lavoratore che si è sentito male, e l’Italia rientra alla perfezione in tale statistica. Non si cada nell’errore di ritenere che all’interno degli spazi confinati operino solo i “pulitori” di cisterne; ci si trova molto spesso di quanto, infatti, a svolgere lavoro elettrico all’interno di ambienti ristretti (basta mettere piede all’interno di un depuratore!). Dunque occorre essere ben preparati.
La normativa di riferimento
L’analisi normativa prende spunto dall’Art.66 del D.Lgs. 81/08 (c.d. testo unico sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro) in cui si dice che, all’interno dei lavori in ambienti sospetti di inquinamento, “è vietato consentire l’accesso dei lavoratori in pozzi neri, fogne, camini, fosse, gallerie e in generale in ambienti e recipienti, condutture, caldaie e simili, ove sia possibile il rilascio di gas deleteri, senza che sia stata previamente accertata l’assenza di pericolo per la vita e l’integrità fisica dei lavoratori medesimi, ovvero senza previo risanamento dell’atmosfera mediante ventilazione o altri mezzi idonei. Quando possa esservi dubbio sulla pericolosità dell’atmosfera, i lavoratori devono essere legati con cintura di sicurezza, vigilati per tutta la durata del lavoro e, ove occorra, forniti di apparecchi di protezione. L’apertura di accesso a detti luoghi deve avere dimensioni tali da poter consentire l’agevole recupero di un lavoratore privo di sensi”.
L’articolo n.66 del Testo Unico è molto pratico ma di fatto nulla dice sulla necessità di formazione che i lavoratori che operano all’interno degli ambienti confinati dovrebbero ricevere. Proprio al fine di incidere positivamente sul fenomeno infortunistico riducendo la numerosità e la gravità degli eventi accidentali, nel 23/11/2011 è entrato in vigore il DPR 177/11 – Regolamento recante le norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati – all’interno del quale si definiscono le linee guida fondamentali per salvaguardare la sicurezza e la salute degli operatori. Due sono i capisaldi del Decreto:
- Qualificazione delle imprese e/o lavoratori che operano in ambienti confinati
- Procedure di sicurezza
Tali aspetti sono oggetto della trattazione di seguito riportata. SPAZIO CONFINATO, DEFINIZIONEPer “spazio confinato” si intende un qualsiasi ambiente limitato – ovvero parzialmente o totalmente chiuso e con aerazione ridotta – il cui rischio di morte o di grave infortunio è molto elevato a causa della presenza di sostanze nocive o della sussistenza di condizioni di pericolo. Di fatto, è un ambiente che è stato progettato e costruito per essere occupato in permanenza da persone, ma che si trova ad esserlo – anche se solo temporaneamente – a causa di operazioni di manutenzione, ispezione o riparazione.
Punto 1: Qualificazione dei soggetti operanti
L’art.2 del DPR 177/11 è categorico: “Qualsiasi attività lavorativa nel settore degli ambienti sospetti di inquinamento o confinati può essere svolta unicamente da imprese o lavoratori autonomi qualificati in ragione del possesso dei seguenti requisiti”.
Tra questi, i più importanti sono:
- integrale applicazione delle vigenti disposizioni in materia di valutazione dei rischi, sorveglianza sanitaria e misure di gestione delle emergenze;
- presenza di personale, in percentuale non inferiore al 30% della forza lavoro, con esperienza almeno triennale relativa a lavori in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, assunta con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ovvero anche con altre tipologie contrattuali o di appalto, a condizione, in questa seconda ipotesi, che i relativi contratti siano stati preventivamente certificati ai sensi del D.Lgs. 276/03 […];
- avvenuta effettuazione di attività di informazione e formazione di tutto il personale, ivi compreso il datore di lavoro ove impiegato per attività lavorative in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, specificamente mirato alla conoscenza dei fattori di rischio propri di tali attività […];
- possesso di dispositivi di protezione individuale, strumentazione e attrezzature di lavoro idonei alla prevenzione dei rischi propri delle attività lavorative in ambienti sospetti di inquinamento o confinati e avvenuta effettuazione di attività di addestramento all’uso corretto di tali dispositivi, strumentazione e attrezzature[…];
- avvenuta effettuazione di attività di addestramento di tutto il personale impiegato per le attività lavorative in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, ivi compreso il datore di lavoro, relativamente all’applicazione di procedure di sicurezza.
E dulcis in fundo, a suggello di quanto l’argomento sia serio: “In relazione alle attività lavorative in ambienti sospetti di inquinamento o confinati non è ammesso il ricorso a subappalti, se non autorizzati espressamente dal datore di lavoro committente e certificati ai sensi del D.Lgs. N.276/03 e s.m.i.. Le disposizioni del presente regolamento si applicano anche nei riguardi delle imprese o dei lavoratori autonomi ai quali le lavorazioni vengano subappaltate”.
Punto 2: Procedure di sicurezza
L’Art. 3 del DPR 177/11 si concentra sulle procedure di sicurezza, trasmettendo il concetto che non può essere sufficiente la presenza di un’impresa qualificata e ben attrezzata se non si sviluppa contestualmente anche la consapevolezza del contesto in cui si è chiamati a operare; quest’ultimo aspetto non può prescindere da una stretta interrelazione informativa con la Committenza, che, in quanto tale, è la parte che meglio conosce le caratteristiche dell’ambiente confinato. Ciò premesso, il Decreto prevede quanto segue:
- prima dell’accesso nei luoghi nei quali devono svolgersi le attività lavorative, tutti i lavoratori impiegati dalla impresa appaltatrice, compreso il datore di lavoro ove impiegato nelle medesime attività, o i lavoratori autonomi devono essere puntualmente e dettagliatamente informati dal datore di lavoro committente sulle caratteristiche dei luoghi in cui sono chiamati a operare, su tutti i rischi esistenti negli ambienti, ivi compresi quelli derivanti dai precedenti utilizzi degli ambienti di lavoro, e sulle misure di prevenzione ed emergenza adottate in relazione alla propria attività. L’attività di cui al precedente periodo va realizzata in un tempo sufficiente e adeguato all’effettivo completamento del trasferimento delle informazioni e, comunque, non inferiore ad un giorno;
- il datore di lavoro committente individua un proprio rappresentante, in possesso di adeguate competenze in materia di salute e sicurezza sul lavoro e che abbia comunque svolto le attività di informazione, formazione e addestramento, a conoscenza dei rischi presenti nei luoghi in cui si svolgono le attività lavorative, che vigili in funzione di indirizzo e coordinamento delle attività svolte dai lavoratori impiegati dalla impresa appaltatrice o dai lavoratori autonomi e per limitare il rischio da interferenza di tali lavorazioni con quelle del personale impiegato dal datore di lavoro committente;
- durante tutte le fasi delle lavorazioni in ambienti sospetti di inquinamento o confinati deve essere adottata ed efficacemente attuata una procedura di lavoro specificamente diretta a eliminare o, ove impossibile, ridurre al minimo i rischi propri delle attività in ambienti confinati, comprensiva della eventuale fase di soccorso e di coordinamento con il sistema di emergenza del Servizio sanitario nazionale e dei Vigili del Fuoco.
Per chi sgarra: “Il mancato rispetto delle previsioni di cui al presente regolamento determina il venir meno della qualificazione necessaria per operare, direttamente o indirettamente, nel settore degli ambienti sospetti di inquinamento o confinati”.
In conclusione
Dall’analisi svolta e dalle previsioni normative analizzate sembra chiaro che gli unici lavoratori in grado di poter lavorare in ambienti confinati sono quelli operanti all’interno di aziende mediamente strutturate, in quanto un singolo lavoratore autonomo – ovvero un artigiano – difficilmente possiede la forza organizzativa per poter adempiere a quanto prescritto dal DPR 177/11.
I fattori di pericolo in ambienti confinati sono talmente tanti (asfissia, condizioni microclimatiche sfavorevoli, pericolo di esplosione/incendio, intossicazione, caduta, elettrocuzione, contatto con organi in movimento, investimento/schiacciamento, ustioni/congelamento, annegamento, atmosfera con eccessiva concentrazione di ossigeno, seppellimento, rumore, rischio biologico) per cui, nonostante tutte le procedure e le qualifiche, il rischio zero non esiste. Tuttavia non bisogna rassegnarsi alla conta dei morti, in quanto, se bene si analizzano gli incidenti occorsi all’interno di ambienti confinati, si scopre che nella maggior parte dei casi l’evento infausto è riconducibile ad errore, disattenzione o peggio impreparazione e ignoranza umana. A titolo di esempio, molti gas asfissianti sono inodori, incolori e insapori, non sono rilevati dall’apparato sensoriale umano e causano la perdita di conoscenza senza segni premonitori; pertanto senza l’uso di un’idonea sensoristica il lavoratore (e il soccorritore!) è inerme. Naturalmente un’attività più assidua dell’organo di Vigilanza non farebbe altro che aumentare gli standard di sicurezza.